The Madison Square Garden Church of All Saints and Moguls
Donald, Elon, Jeff e un futuro già scritto?
Mentre ascoltavo il “discorso” (in realtà, al netto di faccette ed ovazioni, 2 minuti di quasi nulla) di Elon Musk durante l’ultimo evento elettorale di Donald Trump, tenutosi la settimana passata al Madison Square Garden di New York, mi è venuto in mente che circa due anni fa avevo cominciato a lavorare a un articolo sul magnate di Tesla e SpaceX, di cui poi non si è più fatto nulla. Rileggendo quel materiale, mi è parso ancora piuttosto interessante; era qualcosa che aveva a che fare con la “religione secolare” dell’Elonverse, il Musk-Cult e la “corporate U(Dys)topia”. Il pezzo si concludeva con questa osservazione: All these aspects are ultimately linked to Musk himself and to the role he and his followers believe he will—and must—play in these transformative processes. Tutti gli elementi che compongono il culto della personalità e la dimensione quasi settaria della devozione a Musk, sono in ultima istanza legati a un elemento profetico che Musk e i suoi seguaci portano avanti, legato alla missione che lui sarebbe destinato ad avere nei processi trasformativi per l’umanità su cui si basa la sua visione. (Avevo scritto questo pezzo prima dell’acquisizione defnitiva di Twitter e una certa trasformazione nel personaggio Musk e di conseguenza del suo seguito, ma buona parte di quelle riflessioni ancora tiene).
Non sono così sicura che Donald Trump sia mai arrivato così in là da sviluppare una visione o qualsivoglia idea circa i processi trasformativi dell’umanità, ma, come abbiamo peraltro già ampiamente esplorato in passato, questo elemento di cult accomuna l’Elonverse e la Trump Church. Questo e i soldi chiaramente. E al loro Billionaire Boys Club negli ultimissimi giorni Elon e Donald hanno aggiunto qualche nuovo amico. Jeff Bezos, per esempio, fondatore di Amazon, che, in qualità di editore, ha impedito al Washington Post di pubblicare l’editoriale di endorsment a Kamala Harris. La stessa cosa ha fatto al Los Angeles Times Patrick Soon-Shiong, magnate nel settore delle biotecnologie.
E allora, il raduno del Madison Square Garden è parso davvero una grande megachurch, con dinamiche non troppo dissimili da quegli aspetti più “perversi” delle megachiese. Ne ho parlato qualche mese fa nella newsletter Mac&Cheese, ospite di Valeria Sesia e Marta Ciccolari Micaldi, in particolare riguardo al “prosperity gospel” che consente da decenni a predicatori piuttosto discutibili di prosperare e viaggiare su jet privati (perché in commerciale non si può parlare con Dio) a spese dei loro fedeli.
In precedenza, ho menzionato che Musk ha parlato per circa due minuti senza dire molto di sostanziale. Ha introdotto Melania Trump, ha incoraggiato il pubblico a votare anticipatamente e sostenuto di essere un Goth Maga (perché era vestito di nero). Ma una cosa l’ha detta e continua a dirla parecchio ultimamente, sostenuto anche da Trump: la possibilità di tagliare 2 trilioni di dollari dal budget federale, affermando che il governo è tutto un sistema di tassazione e spreco. Si vocifera addirittura, tra distopia e realtà, che ci siano piani per conferire a Musk un ruolo di governo, quello che Trump chiama “government efficiency commission” e Musk al Madison Square Garden ha ribattezzato Department of Government Efficiency—apparentemente un riferimento a un meme che probabilmente sono troppo vecchia per comprendere.
È evidente che questi magnati abbiano interessi ben definiti nel loro agire. Come ha scritto il New York Times, “gli ultra-ricchi si trovano davanti a opportunità e rischi nella battaglia politica più drammatica, caotica e ad alto rischio della storia moderna”. Sfidando una tradizione consolidata di sobrietà, oggi molti miliardari sono diventati attivisti politici. Una delle ragioni di ciò è l'aumento del numero di miliardari: le loro fila sono cresciute del 38% dal 2016, anno in cui Trump è entrato in carica, e la loro ricchezza è in costante aumento.
Mentre i telepredicatori delle megachurch si accontentano di farsi comperare jet privati dai loro fedeli, Musk, Bezos & co. hanno in gioco qualcosa di molto più grande. Sempre al Madison Square Garden, Musk ha dichiarato alla folla: “Stiamo per liberarvi dal controllo del governo e per togliere le sue mani dai vostri portafogli” cosa che Musk per certo desidera per se stesso. Le sue aziende, tra cui Tesla e SpaceX, sono oggetto di oltre 20 indagini o revisioni, come ha rivelato un'analisi del New York Times. Anche Bezos ha questioni in sospeso con il governo per violazioni antitrust. Inoltre, durante la presidenza Trump, Amazon ha partecipato a una gara per un contratto da 10 miliardi di dollari, assegnato poi a Microsoft. Amazon ha fatto causa, sostenendo che Trump avesse minato la sua offerta; il contratto è stato successivamente annullato. Come scrive sempre il NYT, la proprietà di Bezos più vulnerabile in una nuova e vendicativa amministrazione Trump è probabilmente quella a cui tiene di più: l’azienda spaziale, Blue Origin che dovrà competere con SpaceX e un terzo concorrente per fornire servizi di lancio per razzi di sicurezza nazionale nei prossimi cinque anni. Venerdì scorso, quando il Post ha annunciato che non avrebbe sostenuto alcun candidato presidenziale, il CEO di Blue Origin, Dave Limp, ha incontrato Trump in Texas.
Insomma, se tra l’elezione del 2016 e l’attacco a Capitol Hill del Gennaio 2021 la constituency di riferimento di Trump erano parsi Evangelici, Nazionalisti Cristiani e lavoratori delle aree rurali, parrebbe che Donald nel frattempo si sia fatto dei nuovi amici di “Chiesa”. E se tutto ciò vi ricorda quello di cui abbiamo parlato nella newsletter della scorsa settimana, come darvi torto?
Quando un anno fa questa newsletter prendeva il via, nel numero di apertura parlavamo di cose che oggi sembrano lontane anni luce: primarie incombenti poi rivelatesi inutili, Ramaswamy candidato induista e ultra conservatore, sparito dai radar se non come fan boy di Trump, Mike Johnson speaker della camera in odore di Christian Nationalism, che a pensarci ora sembra quasi uno statista di livello.
Soprattutto, mi ripromettevo di fare insieme, nei 12 mesi che sarebbero seguiti, un viaggio per scoprire lati della storia, società, cultura statunitensi magari meno sotto i riflettori o trattati talvolta con più superficialità (perché giustamente nessuno può essere onnisciente), ma comunque molto interessanti e in grado di fornire un punto di vista aggiuntivo da cui considerare l’anno che avevamo davanti e la campagna elettorale che ci aspettava.
Abbiamo allora mappato il panorama religioso e spirituale degli Stati Uniti, alla scoperta della sua molteplicità e delle sue anime tanto diverse: dai Nones alle comunità musulmane, dalla Black Church alle comunità asiatico americane, arrivando a un piccolo spaccato sulle esperienze native.
Abbiamo cercato di comprendere lo sfondo storico che sottostà a temi politici e sociali cruciali, capendo meglio come funziona la libertà religiosa e il Primo Emendamento e quali siano stati i rapporti tra Presidenza e sfera religiosa nel corso degli ultimi decenni. Abbiamo visto la storia della nascita e poi dell’affermazione della Destra Religiosa, un storia molto meno lineare e scontata di come possa apparire oggi e abbiamo considerato le dimensioni di genere legate a questa storia nonché come si sia trasformata nell’epoca di Trump.
Abbiamo perfino fatto un salto nel mondo dello sport e della street art.
Poi in estate tutto è cambiato, Biden si è ritirato, Harris ha galvanizzato per un momento la campagna democratica, Trump ha subito un attentato che per un attimo soltanto è sembrato riscrivere tutto. Poi ci sono state le Convention, la scoperta dei nuovi candidati, il ritorno di temi importanti per il voto in Stati cruciali, dalla crisi abitativa all’elettorato musulmano nel Midwest.
Ed eccoci qui. Adesso si azzera tutto. Martedì si vota e sapremo come sarà andata. Io mi auguro che questa cavalcata sia stata interessante e ci abbia aiutato, insieme, me e voi, a orientarci in questi mesi. Grazie a tutti coloro che nel tempo si sono aggiunti e che spero oggi di aver incuriosito circa quel che potrebbero essersi persi nei numeri passati, e grazie a chi c’è dalla prima ora. Lavorare a The God Gap non è stato sempre facile per me in questo anno, talvolta mi sono scoraggiata o non sentita all’altezza, ma in ultimo mi son sempre anche molto “divertita” e i vostri riscontri mi hanno sempre aiutata.
Per questo, The God Gap continuerà a raccontarvi storie e approfondire temi e se vi andrà di continuare a seguirci sarà un altro anno insieme.
Grazie e alla prossima!
Grazie davvero per i tuoi approfondimenti. È sempre più difficile trovare punti di vista così precisi e pensati!
Grazie, a presto ♥️