Coconut Trees and the Future of American Religion
Cosa il background culturale di Harris ci dice di lei e della società statunitense
Cari amici di The God Gap, continuiamo questo nostro viaggio estivo nella campagna elettorale per la Presidenza—tra le più tumultuose degli ultimi anni, specie in questa fase.
Nel numero di fine luglio abbiamo considerato alcuni aspetti della Convention Repubblicana. Come anticipato, invece, nel numero della scorsa settimana, a cornice della Convention Democratica che si terrà la prossima settimana, dal 19 al 22, a Chicago, faremo qualche considerazione, oggi e sabato prossimo, sul ticket Harris-Walz, in particolare sul background culturale e religioso della candidata alla Presidenza, e su alcuni aspetti propri dello Stato di cui Walz è il Governatore, il Minnesota, che possono essere estremamente interessanti anche per un quadro nazionale.
Agosto 2020, il Washington Post commenta così la scelta, solo un paio di giorni prima, di Kamala Harris come running mate di Joe Biden: Kamala Harris is more than her gender and race. She is also the future of American religion. Avanzamento veloce, quattro anni dopo. Harris, in un rutilante turn of events, è ora la candidata democratica alla Presidenza e anche se di lei in questi anni poco si è visto o conosciuto, quel titolo è più vero che mai.
Il background culturale di Harris è relativamente noto, soprattutto alle nostre latitudini; negli ultimi tempi se ne è parlato soprattutto quando Trump l’ha accusata di identificarsi come Black solo strumentalmente e di recente, e di essersi sempre riconosciuta come di origini Sud Asiatiche, Indiane specificamente—Harris in realtà si è sempre riconosciuta entrambe le cose, ma la situazione è anche un po’ più complessa di così, e getta una luce su un aspetto fondamentale di quello che è oggi e sempre di più sarà domani il panorama culturale statunitense.
In un paese che, secondo le statistiche, in meno di vent’anni non avrà più una maggioranza bianca, ma sarà un insieme di molteplici minoranze e, soprattutto, l’insieme dell’incontro tra esse, già oggi la stragrande maggioranza delle persone, in un modo o in un altro, è il frutto dell’incontro di culture, origini e, anche, tradizioni religiose e spirituali molteplici. “Nobody grows up in a straight line with religion in America anymore” come ha scritto Anthea Butler proprio parlando di Kama Harris, “Nessuno in America cresce più seguendo un percorso lineare con la religione”.
Insomma, come direbbe la madre di Harris, nessuno è un cocco appena caduto da una palma. Si perché, oramai lo saprete, soprattutto le prime, entusiastiche fasi del lancio della campagna elettorale di Kamala Harris sono state segnate da una certa euforia pop, che ha intelligentemente utilizzato a proprio favore quelli che per anni erano parsi punti deboli presi di mira in modo sprezzante dai suoi detrattori: dalla risata spontanea alle frasi ricorrenti, dalla battute cringe ai siparietti, tutti divenuti nel tempo meme e riattualizzati per rendere cool e accattivante la nuova candidata.
In particolare, nei primissimi giorni il sostegno a Harris viaggiava anche attraverso l’utilizzo degli emoji del cocco e della palma. Si tratta di un riferimento a uno stralcio di un discorso in cui Harris cita una frase che sua madre le diceva spesso da piccola e che illumina un aspetto importante per il discorso che stiamo facendo.
Nel maggio dello scorso anno, Harris parla a un'iniziativa incentrata sull'espansione delle opportunità educative per gli americani ispanici e latini. Durante l'evento, Harris discute dell'importanza di indirizzare le risorse affinché i bambini di queste demografie possano aspirare a realizzare il loro potenziale e argomenta distinguendo tra eguaglianza ed equità e la necessità di riconoscere che non tutti partono con le stesse possibilità e che il contesto è di fondamentale importanza. E qui arrivano i cocchi. Harris ricorda:
"My mother ... she would say to us, 'I don’t know what’s wrong with you young people. You think you just fell out of a coconut tree?'
“Mia madre ... ci diceva: 'Non capisco cosa c'è che non va con voi giovani. Pensate di essere semplicemente caduti da una palma da cocco?'"
E quindi aggiunge:
"You exist in the context of all in which you live and what came before you."
“Ognuno esiste nel contesto di tutto ciò in cui vive e di ciò che è venuto prima di lui”.
L’importanza del contesto, dunque. Economico, sociale, culturale. L’importanza di considerare il contesto da cui una persona proviene, per cercare, nel caso specifico del discorso di Harris, di implementare politiche di sostegno adeguate. O più in generale per comprendere l’inevitabile multidimensionalità di quella persone. Le molteplici identità che compongono quella persona. Perché l’identità (sempre ammesso che esista) non è per certo monolitica.
Per certo non lo è quella di Kamala Harris e in questo risiede quell’elemento in larga parte innovativo per una figura presidenziale (certo, in taluni aspetti anticipato da Obama), in cui molta parte della società—e soprattutto dei giovani, può riconoscersi. Una fetta della popolazione statunitense in crescita, ma che non è mai stata rappresentata, soprattutto non nelle cariche più alte.
Harris, infatti, se dovesse essere eletta sarebbe la 47^ Presidente Cristiana (come tutti i suoi predecessori, dunque) e la quinta Battista. Ma per certo rappresenterebbe qualcosa in più. Nata da padre jamaicano e madre indiana, Harris è cresciuta in California frequentando una Black Church battista con degli amici di famiglia, ma anche il tempio induista con la madre. La sua principale affiliazione in età adulta è la Chiesa Battista, ma riconosce anche il background induista. Inoltre, Harris, come detto, si è sempre riconosciuta tanto Asiatico Americana quanto Black: eletta al Senato nel 2017, ha fatto parte sia del Congressional Asian Pacific American Caucus che del Congressional Black Caucus.
Harris è inoltre sposata con Douglas Emhoff, avvocato cresciuto nel New Jersey e di origine e religione ebraica. Della famiglia fanno parte anche i due figli di Emhoff dal precedente matrimonio, tra cui Ella che ha dichiarato ufficialmente di non riconoscersi come Ebrea.
Harris ha, anche negli anni come Vice Presidente, manifestato queste sue molteplici appartenenze—o vicinanze—culturali ad esempio celebrando ogni anno nella residenza ufficiale tanto Hanukkah che Diwali, le due “Feste delle Luci” rispettivamente ebraica e induista che si celebrano tra novembre e dicembre.
Avere molteplici background culturali e religiosi è sempre più la norma negli Stati Uniti, così come decidere di cambiare nel corso della vita la propria appartenenza religiosa o incontrarne un’altra, ad esempio con il matrimonio, come nel caso di Harris e Emhoff. Almeno 4 americani su 10 (39%) che si sono sposati dal 2010 in poi hanno un coniuge appartenente a un gruppo religioso diverso, secondo un sondaggio del Pew Research già di qualche anno fa. Pew ha anche rilevato che il 20% dei matrimoni negli Stati Uniti è interracial, rispetto al 3% del 1967.
E d’altra parte si tratta di un fatto talmente comune che è possibile vederlo anche dalle parti del Partito Repubblicano. Se Harris non vincerà le elezioni, infatti, ci sarà comunque una coppia interracial e interfaith (e una donna di origini indiane e induista) dalle parti della Casa Bianca: JD e Usha Vance. Alla Convention Repubblicana di Luglio, entrambi hanno fatto cenno nei loro discorsi alla dimensione interculturale e interreligiosa della loro famiglia—con alterni riscontri da parte del pubblico.
Secondo Eboo Patel, fondatore e presidente di Interfaith America, le due coppie offrono, ognuna a suo modo, quella che potrebbe essere una visione ascendente del matrimonio interreligioso. "È una storia di diversità positiva per l'America, per le persone di diverse fedi religiose sposarsi e dire che ‘la mia esperienza con la fede dell'altro rafforza la mia e mi rende una persona migliore’" ha detto Patel.

Il comune background indiano ed induista.
E se questa dimensione interfedi presente in entrambi i ticket è di per sé quanto meno statisticamente significativa, lo è anche il comune background indiano ed induista. Quella South Asian è infatti la minoranza in più rapida crescita negli Stati Uniti. È un tema con cui siamo ormai familiari qui a The God Gap poiché lo abbiamo visto o sfiorato diverse volte. La dimensione multi e interfedi visibile nell’esperienza di vita di Harris è qualcosa che in certa misura può avere radici proprio nel background induista, come notato da alcuni commentatori, una fede caratterizzata da un grande pluralismo e apertura al sincretismo.
Come raccontato di recente in un profilo del New York Times, la citazione della madre di Harris sul coconut tree risuona con ulteriori significati per gli Americani di origine indiana, che la riconoscono come un’espressione estremamente familiare. Se, secondo un sondaggio della Asian American Foundation, alla richiesta di nominare un famoso asiatico-americano, solo il 2% degli americani nomina Harris, la Vicepresidente ha, d’altra parte, sempre parlato apertamente della sua eredità indiana e della sua identità asiatico-americana. Parla spesso della forte influenza che la madre e il nonno, Indiani ed attivisti, hanno avuto sulla sua vita. Parlando in diverse occasioni a leader asiatico-americani come Vicepresidente, si è espressa in termini di "noi" definendosi "membro della comunità".
Se Harris è stata la prima donna e la prima persona Black ad assumere il ruolo di VP, è stata anche la prima asiatico-americana, la prima sud asiatica, la prima indiano-americana, in assoluto. Nella sua biografia sul sito della Casa Bianca, è identificata come la "prima sud asiatica-americana". D’altra parte, il termine Asiatico Americano è allo stesso tempo un' “etichetta” geografica e etnica, ma anche un'identità politica e culturale, coniato dagli studenti attivisti nella Bay Area di San Francisco nel 1968. Una storia che è parte dell’esperienza di Harris, quanto quella dell’attivismo Black.

Sempre il New York Times scrive che mentre molti Indiani Americani sostengono nel Paese d’origine il Presidente Modi, nazionalista conservatore, come motore dell'ascesa dell'India, sono più progressisti politicamente nel contesto americano. Molti di loro si preoccupano della violenza armata e della politica sull'immigrazione, così come degli attacchi razzisti o religiosi, e tendono a considerare il Partito Democratico migliore su queste questioni. Gli Indiani Americani rappresentano poco più dell'1% della popolazione degli Stati Uniti, ma sono tra le comunità della diaspora più ricche e influenti. Nel 2020, la comunità ha donato milioni di dollari nel Biden Victory Fund, “galvanizzata” dalla scelta di Harris come Vicepresidente. Tuttavia, secondo Religion News Service, vi è un crescente scetticismo tra alcuni elettori South Asians e induisti che sostengono non sia riuscita a entrare in sintonia con loro.
Nel frattempo, i Repubblicani si sono impegnati per raggiungere questo segmento della popolazione. Memorabile resta l’evento, organizzato in onore di Modi nel 2019 e intitolato Howdy Modi, tenutosi con decine di migliaia di persone all'NRG Center di Houston, cui partecipò lo stesso Trump. Ora, il GOP ha nuove opportunità per coinvolgere gli elettori di origine indiana e induisti proprio in Usha Vance.
Insomma, se c’è una cosa che la storia e l’esperienza di Kamala Harris ci può raccontare, è che quello dell’identità è un tema e una dimensione complessa e irriducibile. Trump ha accusato Harris di non essere abbastanza Nera, di non aver nemmeno saputo che fosse Nera per lungo tempo e di averla sempre pensata Indiana. Molti Americani invece non erano affatto a conoscenza dell’origine indiana della Vice Presidente e gli stessi South Asian Americans esprimono opinioni contrastanti e incerte nei suoi conforti. E tutto ciò non fa che rispecchiare la complessità con cui è sempre più necessario imparare a fare i conti, senza semplificazioni.
Save the Date
Con un entusiasta Tim Walz, vi saluto, vi auguro buon proseguimento d’estate e ci sentiamo la settimana prossima. Ciao!