Dall’attentato a Trump, che ne ha fatto una volta di più il “Chosen One”, alla scelta di Vance come VP—cattolico con moglie induista, che definisce la sua esperienza di fede parlando di Pulp Fiction, passando per una Convention a Milwaukee in cui rappresentanti di varie fedi hanno guidato preghiere che avevano tutte una cosa in comune: una cornice di croci e bandiere.
Ovvero, quando il pluralismo è posticcio, alla fine si vede.

Solo poche ore dopo l'inizio della Convention nazionale repubblicana, il senatore Tim Scott della Carolina del Sud ha evocato una battaglia spirituale incentrata sull'ex presidente Donald Trump. "Il nostro Dio salva ancora…Sabato il diavolo è arrivato in Pennsylvania con un fucile. Ma un leone americano si è rialzato e ha ruggito," ha dichiarato Scott, esortando i delegati a rispondere ruggendo a loro volta.
La Convention repubblicana tenutasi a Milwaukee, che ha ufficialmente designato Donald J. Trump come candidato del partito alle presidenziali di novembre, ha una volta di più fatto della narrazione di Trump come salvatore e “anointed by God” il fulcro centrale—e probabilmente anche l’unico. L'attentato a cui Trump è sopravvissuto solo pochi giorni prima in Pennsylvania ha chiaramente aggiunto un elemento in più a questa narrazione, permettendo di indicare Trump come il destinatario di un intervento divino miracoloso.
Già nelle ore successive all'attentato, leader religiosi e politici avevano pregato pubblicamente per Trump, ma alla Convention i toni sono diventati decisamente più mistici. Marco Rubio, senatore della Florida, ha dichiarato che "Dio ha protetto Trump", suggerendo, come già fatto da cristiani conservatori in passato, che l'ex presidente sia stato scelto e preservato da Dio per guidare gli Stati Uniti. La retorica messianica attorno al tentativo di omicidio di Trump ha accentuato, dunque, il carattere cristiano della Convention, ma la cosa, a tratti, ha preso una piega stridente.
Molti osservatori hanno notato come, se da una parte la Convention ha mostrato un partito inequivocabilmente unito e compatto, tuttavia la retorica su cui l’evento si è basato è sembrata datata e trita: se l’unione intorno all’Unto e redivivo Trump è ciò che tiene insieme ed esalta, tuttavia le idee e i progetti sembrano scarseggiare e riproporre ritornelli che potrebbero suonare stanchi alle orecchie di molti americani indecisi—quelli che rappresenteranno l’ago della bilancia a novembre nel contesto di un paese in cui la polarizzazione politica è ormai cementata.
E questa povertà di contenuti è parsa, forse inevitabilmente, andare di pari passo con qualche stridente incoerenza. È il caso delle preghiere multi-fedi proposte in ogni serata della Convention. Diversi leader religiosi cristiani sono saliti sul palco per guidare il pubblico in preghiere: è stato il caso dell’Arcivescovo Greco Ortodosso Elpidophoros e dell’Arcivescovo Jerome Listecki, che guida la diocesi cattolica di Milwaukee, nonché del Reverendo James A. Roemke della Chiesa Luterana Messiah di Kenosha, Wisconsin, che si è anche cimentato in una imitazione di Trump. Inoltre, diversi rappresentanti repubblicani intervenuti durante l’evento hanno offerto preghiere, spesso a sostegno o protezione di Trump. Questo è avvenuto anche con confessioni non cristiane. Leora Levy, imprenditrice del Connecticut ed ex candidata al Senato nonché membro della leadership della Republican Jewish Coalition, ha pregato per Trump e per Corey Comperatore, ucciso durante l'attentato, facendo citazioni bibliche e preghiere tipiche della sua fede ebraica. Mentre Levy guidava la sua preghiera, la telecamera ha inquadrato il pubblico per poi fermarsi su un uomo con una maglietta su cui era scrtto: “Gesù Cristo è Re”.
Anche Harmeet Kaur Dhillon, avvocata che ha anche seguito alcuni dei casi di Trump e parte del Comitato nazionale repubblicano per la California, ha recitato una preghiera di lode e ringraziamento; nel suo caso si è trattato di una preghiera sikh. Dopo esser salita sul palco e aver cominciato a parlare, Dhillon si è coperta il capo con un velo ha spiegato che avrebbe recitato la preghiera "Ardas", che i sikh recitano prima di un nuovo impegno per lodare Dio e chiedere protezione. Ha recitato la preghiera in lingua punjabi e poi ha aggiunto una preghiera in inglese.
Non solo ogni qualvolta una preghiera veniva invocata, i maxi schermi dietro gli oratori mostravano croci, chiese e bandiere americane–questo anche durante la preghiera della rappresentante e ebrea e quella recitata in punjabi per la tradizione Sikh. Non pochi rappresentanti repubblicani, presenti alla Convention e non, si sono lamentati per l’intervento di Dhillon—che peraltro aveva recitato la medesima preghiera anche alla Convention del 2016. Il Reverendo James Roemke ha chiesto di non essere mostrato nelle vicinanze del palco mentre Dhillon parlava: “Come seguace di Cristo, non posso essere sul palco mentre questa donna sta pregando, non so cosa. Sfortunatamente si è trattato di un errore di comunicazione”, con buona pace dell’apertura interfedi.
Anche la commentatrice conservatrice Candace Owens, le cui opinioni sulla sua fede cristiana e su Israele hanno alimentato polemiche persino nei circoli di estrema destra, ha criticato l’intervento di Dhillon come qualcosa che non interessa “ai patrioti” del Partito Repubblicano che rifiutano politiche di inclusione della diversità di ogni genere. Owens ha, non a torto probabilmente, sottolineato una certa incoerenza dicendo “Siamo ora il partito che critica le politiche di inclusione e poi le pratica?”
D'altra parte, in un’elezione che si giocherà su margini ristretti, i repubblicani sembrano mirare ad ampliare la loro base. La RNC, ad esempio, ha alimentato polemiche tra i conservatori per aver moderato le sue posizioni sull’aborto e sui diritti LGBTQ+, mosse che hanno fatto storcere il naso a parte della base cristiana conservatrice del partito.
Ma si sa, tenere in bilico troppe palline è difficile anche per il migliore dei giocolieri. Se la diversity culturale e religiosa viene usata come mera strategia di marketing, senza che vi sia un retroterra culturale solido, i risultati sono questi.
Entra J.D.Vance, la telefonatissima scelta di Trump come suo vice. Di Vance si potrebbero, si sono e si continueranno a dire tantissime cose. Un paio sono di nostro interesse oggi.
Mentre si convertiva al trumpismo–da fervente critico che ne era stato in passato–Vance ha trovato il tempo, nel 2019, di convertirsi anche al cattolicesimo. Cresciuto in un ambiente protestante non praticante, e avendo attraversato una fase, durante il college, di fervente ateismo, Vance ha deciso di convertirsi al cattolicesimo perché gli sembrava la religione “Più vera” e poiché, ha dichiarato, lo erano persone per lui importanti (tra cui annovera la moglie di suo zio e il filosofo francese morto nel 2015 René Girard, di cui dice di aver letto alcune opere). Dopo la converisone, Vance si è avvicinato a correnti di Cattolicesimo Integralista, movimenti prossimi al Christian Nationalism, che sostengono la necessità per i Cristiani di prendere il controllo delle istituzioni politiche per far fronte al declino morale della società americana.
Tra i Cattolici importanti per Vance non si può annoverare la moglie Usha, Californiana figlia di immigrati indiani, cresciuta nella fede induista. I due si sono sposati nel 2014 con una doppia cerimonia anche induista e Vance ha adottato l'alimentazione, con radici religiose, vegetariana della moglie–cosa che ha fatto sensibilmente mugugnare non pochi nel pubblico della convention.
Il ruolo di Usha Vance
Se la scelta di Vance come candidato Vice di Trump è accreditata come mossa strategica per conquistare stati come l’Ohio e zone limitrofe, la fede e le origini di Usha non sono da sottovalutare. Come abbiamo visto ormai più volte in questi mesi in The God Gap, quella indiana e specificamente induista è una delle minoranze in maggior crescita nel paese, non solo numericamente, ma anche in visibilità e potere. E questo è vero anche all'interno del Partito Repubblicano. Due dei maggiori sfidanti di Trump alle primarie di inizio anno appartengono, sebbene in modi radicalmente diversi, a questo mondo: Nikki Haley, nata Nimrata Randhawa e di fede Sikh, convertitasi al metodismo dopo il matrimonio (pure tenuto con doppia cerimonia anche Sikh), e l'imprenditore ultra radicale Vivek Ramaswamy.
In un sondaggio condotto tra gli elettori Asiatico Americani in luglio, l'identificazione democratica tra gli elettori di origini indiane è scesa al 46% dal 54% nel 2020, mentre l'affiliazione repubblicana è aumentata dal 16% al 23 %. Il sostegno al presidente Joe Biden è diminuito dal 65% nel 2020 al 48% , e il sostegno a Trump è aumentato leggermente, dal 28% al 31%. Le indagini hanno anche rilevato come vi sia una recente sensazione, tra gli Americani di fede induista, che sia in corso una “demonizzazione” nei loro confronti da parte delle componenti liberal e progressiste della società, in riferimento, ad esempio, al tentativo portato avanti in California dai Democratici di inserire il sistema delle caste tra le pratiche discriminatorie. D’altra parte i movimenti vicini al nazionalismo Hindu del Presidente indiano Modi sono in crescita anche negli Stati Uniti, e Trump negli anni della sua presidenza è stato un forte sostenitore di Modi.
Alla retorica vagamente teocratica di Trump come Chosen One poteva mancare ancora una cosa: il giusto santino. E l'attentato di sabato scorso lo ha prodotto con l’immagine iconica di Trump insanguinato, pugno alzato e bandiera rovesciata sullo sfondo. La convention e la campagna di Trump l'hanno immediatamente cavalcata. Mostrata compulsivamente sugli schermi, stampata su t-shirt, brandita come un’arma e insieme un ex-voto, quell’immagine potrebbe a un tempo essere diventata il simbolo di questa campagna elettorale e aver già esaurito tutto il suo potenziale.
In un mondo che consuma ogni evento, immagine, breaking news sempre più velocemente, in cui il news cycle è sempre più breve, e in cui ciò che e è reale, ciò che è manipolato e ciò che è apertamente costruito è sempre più difficile da distinguere, cosa ne sarà di questo ennesimo “evento storico” già consumabile con merchandising e meme? Non per niente quella foto di Trump è stata paragonata alle immagini fake prodotte dall’intelligenza artificiale: è talmente perfetta da essere inconcepibile, eppure è reale, ma è anche già nel passato, in qualche modo sostituita nei dibattiti sulla campagna elettorale dalla storia di Vance, dal COVID di Biden, da chi sceglierà Kamala Harris come vice, ecc, ecc, …
E allora forse non stupisce, in tema di realtà, iperrealtà, percezioni distorte e pop-culture, che J.D. Vance, per spiegare la sua esperienza di fede, abbia detto che il suo percorso può essere assimilato a quello di Jules Winnfield, il killer protagonista di Pulp Fiction interpretato da Samuel L. Jackson. Vance ha in particolare citato la famosa, ultima scena del film di Tarantino, quella che si svolge nel diner e in cui Jules e Vincent Vega, interpretato da Travolta, parlano della sparatoria a cui sono scampati, miracolosamente per Jules, il quale dice, passo citato appunto da Vance, “Beh, guarda, la questione non è se Dio ha cambiato la Coca Cola in Pepsi o ha trovato le chiavi della mia macchina, ciò che conta è che ho sentito il tocco di Dio”.
A differenza di Jules, però, il tocco di Dio non ha spinto Vance a partire per il mondo sulle orme degli eroi del Kung Fu, ma a diventare Vice Presidente degli Stati Uniti.
Save the Date
Buon proseguimento d’estate e ci sentiamo nel prossimo numero di The God Gap. Chissà cosa ci avrà portato nel frattempo la campagna elettorale forse più folle di sempre. A presto!