Torniamo a sentirci dopo una decina di giorni da quel 5 Novembre che non solo ha inaugurato il secondo anno di The God Gap (mettiamo le cose nel giusto ordine ;)), ma ha anche sancito il futuro dei prossimi quattro anni di amministrazione statunitense. Abbiamo parlato tanto di elezioni nelle ultime settimane e ci siamo anche sentiti in occasione della chiacchierata fatta con Lucandrea Massaro su Sacro&Profano.
Qualche giorno fa, allora, vi ho chiesto di cosa avreste preferito si occupasse questa prima newsletter post elezioni e ha vinto una sempre sana via di mezzo: risultati elettorali si, ma in un contesto più ampio e con storie anche diverse.
E allora in questo numero prenderemo le mosse da alcune riflessioni circa le elezione in relazione all'appartenenza religiosa, ma poi ne approfitteremo per fare un viaggio (più o meno) rilassante nella varietà religiosa del paese in alcune sue caratteristiche specifiche. Un po' come un road trip (ne abbiamo già fatto uno, mesi fa) in cui ascolti la radio, si, e ti informi, ma intanto ti godi anche il paesaggio e il viaggio.
E pluribus unum, dunque. Dai molti, uno solo. Forse uno dei (potenziali) principi e valori fondativi degli Stati Uniti più calzante e a fuoco, per quelli che sono stati la storia e gli ideali che ne hanno guidato la nascita e la formazione. Senonché si è sempre trattato di un orizzonte difficile da raggiungere, un po’ come quella “more perfect Union” sempre da costruire, sempre da immaginare così come inscritto nelle primissime parole della Costituzione del 1789
Noi, Popolo degli Stati Uniti, allo Scopo di realizzare una più perfetta Unione, stabilire la Giustizia, garantire la Tranquillità interna, provvedere per la difesa comune, promuovere il Benessere generale ed assicurare le Benedizioni della Libertà a noi stessi ed alla nostra Posterità, ordiniamo e stabiliamo questa Costituzione per gli Stati Uniti d'America.
E pluribus unum, così importante come principio da rappresentare un motto non ufficiale della nazione per molto tempo, da essere inscritto nello Stemma ufficiale degli Stati Uniti, ma da essere infine stato messo in secondo piano negli anni Cinquanta della Presidenza Eisenhower quando come primo, vero motto ufficiale venne scelto In God we trust. Le ragioni di questa scelta sono molteplici, in parte ne abbiamo già parlato discutendo di Primo Emendamento, ma la scelta dell’uno al posto dell’altro è già di per sé significativa di due anime che si affiancano, complementano e talvolta scontrano.
Perché se quell’ “unum” è un ideale a cui tendere, il “pluribus” non è affatto detto che debba scomparire o livellarsi in un’uniformità forzata—tutt’altro. È nella diversità, differenza e varietà che la nazione americana (e magari non solo) dovrebbe costruirsi. Questo è anche il fulcro di un breve, interessante documentario (disponibile su Netflix), intitolato proprio Out of Many, One. Realizzato nel 2017, quindi nelle prime fasi della prima Presidenza Trump, caratterizzate dal Muslim Ban, dalla promessa di costruzione del muro con il Messico e di deportazioni e separazioni delle famiglie, il documentario mostra il percorso e le storie di un gruppo di persone, tutti immigrati, alcuni long-term residents (ossia nel paese anche da tre decenni) che si preparano per il test previsto per richiedere la cittadinanza. Persone diverse tra loro per provenienza, esperienza, età, tutte arrivate negli States inseguendo principalmente un’ideale di libertà: di espressione, di religione, di realizzazione, politica. Persone che, nel 2017, sentivano più che mai l’urgenza di diventare cittadini, preoccupati per l’aria che tirava e interessati a poter far sentire la propria voce alle elezioni successive. Persone che più che mai comprendevano che nella diversità e nella molteplicità risiedeva la ricchezza del paese che stava per diventare il loro.
Come ormai ben sappiamo, il sostegno a Trump nelle ultime elezioni è stato estremamente trasversale, è cresciuto praticamente in tutti i segmenti—o meglio, Trump ha preso sostanzialmente gli stessi voti, ma Harris ne ha preso più di 10 milioni in meno rispetto a Biden e le sue percentuali in tutti i segmenti demografici, inclusi quelli storicamente democratici, si sono ridotte ampiamente. E questo nonostante Trump continui a propugnare politiche non troppo dissimili rispetto a quelle del 2016, in particolare nei confronti di minoranze, immigrati e per quel che concerne lo specifico dei nostri interessi qui, non Cristiani in generale.
Trump durante la campagna ha infatti promesso di sospendere l’accoglienza dei rifugiati, limitare le protezioni per l'asilo e attuare deportazioni di massa, porre fine alla cittadinanza automatica per i figli degli immigrati nati negli Stati Uniti; di porre fine allo status legale protetto per alcuni gruppi, tra cui haitiani e venezuelani; e di ripristinare il divieto di viaggio per le persone provenienti da alcune aree a maggioranza musulmana. Se Trump metterà in atto i suoi piani, FWD.us, un'organizzazione di difesa dell'immigrazione e della riforma della giustizia penale, prevede che a partire dal 2025 circa 1 residente statunitense su 12 e in particolare 1 residente di origini latine su 3 potrebbero essere colpiti dalle deportazioni di massa a causa del loro status legale o di quello di qualcuno in famiglia.
Ma aggiungiamo una variabile. Religion News Service ha analizzato i dati elettorali usando come variabile proprio l’affiliazione religiosa e si è chiesto se la religione abbia influito. La risposta è stata: dal punto di vista demografico, abbastanza; dal punto di vista dei valori, sì e no. Se infatti su questioni specifiche, espresse in una quantità di referendum in tutto il Paese, gli Statunitensi hanno mostrato una certa autonomia valoriale rispetto a quelli che si sarebbero immaginati gli orientamenti di voto di persone religiosamente affiliate (su tutte le iniziative a favore della protezione del diritto all’aborto passate anche in stati in cui hanno prevalso i Repubblicani), dal punto di vista demografico parrebbe che il nostro “caro” God Gap continui a tenere e crescere.
RNS ha notato infatti che Trump ha visto un aumento nel sostegno da parte di pressoché tutti coloro che si riconoscono in una confessione religiosa, mentre Harris ha visto un aumento (oltre che tra gli Ebrei, per ovvie ragioni probabilmente), tra i Nones, cresciuti dal 65% di Biden al 71%. I voti per Trump tra i protestanti sono cresciuti dal 60% nel 2020 al 63% nel 2024; i cattolici dal 52% nel 2020 al 58% (qui ha pesato lo spostamento verso i Repubblicani del “voto latino”).
Ancor più significativo è l’incremento tra coloro che si riconoscono in religioni “altre”, che rappresentano il 10% della popolazione votante e che hanno ridotto il sostegno al candidato democratico dal 69% nel 2020 al 59% nel 2024. Una parte significativa di tale calo è probabilmente ascrivibile alla popolazione musulmana in ragione delle posizioni di Biden e Harris su Gaza. Trump, da parte sua, ha cercato attivamente il sostegno musulmano. Trump, che ha negli Ebrei Ortodossi e ultra conservatori alcuni dei suoi maggiori sostenitori, negli Stati Uniti e in Israele (dove gli hanno intitolato un insediamento sulle alture del Golan) a Dearborn, Michigan, una città a maggioranza araba, ha preso il 42% dei voti (da meno del 30% di quattro anni fa), sebbene l'affluenza sia stata inferiore. Harris ha ottenuto il 36%, con un calo di circa 34 punti percentuali rispetto a Biden. Jill Stein, la candidata del Partito Verde, ha ottenuto il 18% dei voti.
Ma ci eravamo ripromessi di non parlare troppo di elezioni. In realtà tutto quanto detto fin qui porta a un punto, già detto e da ribadire: gli Stati Uniti sono o potranno essere un “Unum” e una “more perfect Union” solo nella misura in cui continueranno—o cominceranno—a riconoscere che sono anzitutto “plurimum”. Tutte le proiezioni statistiche e censuarie prevedono ormai stabilmente da oltre un decennio che tra il 2040 e il 2045 gli Stati Uniti saranno un paese composto da una maggioranza di minoranze. Negli stessi anni, anche il panorama religioso del paese è destinato a cambiare radicalmente. Secondo le proiezioni più recenti del Pew, tutti i Cristiani nel loro insieme potrebbero passare da oltre il 60% a una quota che varia tra il 35 e il 46%, i non affiliati dal 30% a una percentuale tra il 41 e il 52% e le altre religioni raggiungere il 13%.
Ma più ancora dei numeri assoluti è probabilmente interessante osservare la distribuzione sul territorio delle diverse appartenenze religiose. Nella prima mappa a inizio numero, creata dal Washington Post su dati del Census del 2020 sono rappresentate le 4 maggiori appartenenze per collocazione nonché le aree dove non vi è una singola maggioranza, relativa o assoluta.
Ma trovo ancora più affascinante le due mappe qui sotto, che rappresentano la religious diversity, la diversità e molteplicità religiosa delle varie contee del paese, la prima distinguendo le varie denominazioni cristiane, la seconda considerando tutti i cristiani insieme. Le zone più chiare sono quelle più uniformi: in particolare la regione mormone si distingue per essere la zona meno diversificata dal punto di vista religioso d'America insieme alla valle del Rio Grande, fortemente cattolica. Man mano che il colore si scurisce, quelle aree sono le più diverse religiosamente. Come potete vedere, vi è chiaramente una differenza a seconda di come consideriamo le chiese cristiane e questo non è un dato secondario. In ogni caso, che si tratti di un giallo più o meno intenso o di un azzurro o blu, quelle aree rappresentano comunque la maggior parte del territorio. Anche nella seconda mappa, le aree completamente bianche sono minoritarie.


E sono concentrate (a parte i due succitati casi) nel Sud. Come notato da Roberto Jones, direttore del Public Religion Research Institute, "Ciò che è notevole è che puoi vedere la storia culturale del paese in queste mappe" notando modelli di insediamento religioso che persistono. "Puoi ancora vedere la storia della guerra civile, con gli evangelici bianchi ancora concentrati nel sud-est, i non evangelici bianchi nell'Upper Midwest e nel nord-est. Puoi ancora vedere quella divisione tra nord e sud". Parimenti, la maggior diversità è per certo concentrata sulle coste e nelle grandi aree urbane. Come scritto dal WP, se esistono una Quran Belt, una Torah Belt o una Bhagavad Gita Belt, l’area di New York City ne costituisce l’epicentro. Quasi la metà degli Ebrei americani, per adesione alle sinagoghe, vive a New York o nel New Jersey, che sono anche il secondo e il terzo stato con più residenti musulmani, dopo l'Illinois. E sono tra i primi tre per gli Americani induisti (insieme al Delaware). I Buddisti sono più concentrati sulla costa occidentale (e a Washington)
In questo contesto, le eccezioni non mancano e rappresentano delle finestre su quello che sarà il futuro prossimo. Oggi, sabato 16 novembre 2024, per esempio, a Houston, Texas si inaugura il primo Centro Islamico a guida Latina degli Stati Uniti. Promosso dall’associazione IslaminSpanish, attiva da oltre vent’anni e nata per accrescere la comunicazione tra ispanici e musulmani, il Centro espande la già esistente sala di preghiera per la comunità latino musulmana di Houston, una realtà in costante crescita nella città e in tutto il paese. Il Pew Research Center afferma che circa 250mila dei 3,5 milioni di musulmani nel paese sono latini. A Houston, una città con meno di 2,5 milioni di abitanti, storicamente protestante e influenzata dalla Bible Belt, una città in cui hanno sede 40 megachurch (200 in tutto il Texas), è oggi casa per la più grande comunità musulmana non del Texas, ma di tutto il Sud, circa 150mila persone, che salgono a un numero compreso tra le 250.000 e le 500.000 se si considera l’intera regione. Il centro islamico di Houston, che tra le sue peculiarità ha una forte componente sincretica nel mix di tradizioni che porta avanti, dal cibo condiviso nei momenti di festa al fatto di pregare insieme uomini e donne, è guidato da Jaime Mujahid Fletcher, nato cattolico e di origine colombiana, da adolescente era a capo di una gang nel quartiere di Alief prima di convertirsi all'Islam (solo pochi giorni prima degli attacchi dell'11 settembre) e fondare l'organizzazione no-profit IslaminSpanish.
La popolazione americana di origine latina o ispanica è solitamente considerata cattolica di default, ma, come sotto altri punti di vista, si tratta in realtà di una comunità (o molte comunità) molto vasta e diversificata, che sta affrontando trasformazioni importanti, e questo accade anche sotto il profilo religioso. Secondo Pew Research, sebbene il 65% degli adulti ispanici affermi di essere stato cresciuto come cattolico, oggi solo il 43% si identifica come cattolico. Circa il 30% afferma di non essere affiliato a nessuna religione e il 21% è Protestante.
Quello degli Evangelici di origine latinoamericana, ad esempio, è un fenomeno altrettanto in crescita e interessante e ben presente anche a Houston. Una delle più grandi e importanti megachurch non solo della città e del Texas, ma di tutto il paese, Lakewood, guidata dal pastore Joel Osteen, ha, come molte altre chiese, una fiorente comunità ispanofona che si riunisce autonomamente rispetto alle funzioni guidate da Osteen. Per anni, a guidare questa comunità, è stato Marcos Witt, predicatore e musicista che integra la musica nella sua attività di predicazione. Nato in Texas da genitori missionari evangelici statunitensi e cresciuto in Messico, Witt ha iniziato a predicare negli anni '80, soprattutto in Sud America. Nel 2002 ha fondato la congregazione in lingua spagnola presso Lakewood, cresciuta da 500 a 6mila membri in dieci anni. Da allora ha portato in tour la predicazione in spagnolo per rendere le megachiese evangeliche in giro per il paese più inclusive verso le comunità latine, vendendo 27milioni di copie con 34 album e vincendo 6 Latin Grammy.
"L'America è ora sempre più composta da tutte le etnie e le religioni del mondo. Da nessuna parte è più chiaro che a Houston" ha affermato Stephen L. Klineberg, professore di sociologia alla Rice University. Bahai'i, Buddisti, Cristiani, Induisti, Giainisti, Ebrei, Mormoni, Musulmani, Pagani, Sikh e Zoroastriani, yazidi chiamano Houston casa.









E pluribus unum, auspicabilmente, dunque, in un posto dove forse non ce lo si aspetterebbe, quel Texas che è un po' un'America in miniatura, che può anticipare trend più vasti, quel Texas che, ormai lo sappiamo, si sta trasformando rapidamente. Un po' come il paese intero. E pluribus, unum.