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🐘#38 The Trump strikes back

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Non era scontato ma era tutt'altro che impossibile e le dimensioni della vittoria lo dicono The Donald è tornato alla Casa Bianca e stavolta sarà diverso. Ne parlo con Ilaria Biano di The God Gap

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Lucandrea Massaro
nov 10, 2024
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🐘#38 The Trump strikes back
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Cross-post da Sacro&Profano
Cari amici di The God Gap, dieci giorni fa, nell'ultimo numero, ci salutavamo, dopo aver fatto un bilancio dell'anno trascorso insieme, dicendoci che si stava per azzerare tutto e che le elezioni, in un modo o in un altro, sarebbero state un punto e a capo e una ripartenza. Non poteva essere più vero. Con The God Gap torneremo a sentirci, il sabato mattina, per continuare insieme il nostro viaggio, che per certo sarà interessante. Intanto, domenica scorsa sono stata ospite di Lucandrea Massaro e la sua newsletter Sacro&Profano--che vi consiglio di leggere e seguire--per parlare proprio di elezioni, fare qualche analisi a caldo e provare a capire cosa aspettarsi dai prossimi quattro anni. Spero vi possa interessare. Buona lettura e alla prossima! -
Ilaria W. Biano - The God Gap

📬Questa è Sacro&Profano, la newsletter che ogni settimana ti fa capire due o tre cose sul mondo attraverso le lenti della religione, senza essere confessionale.

Non farò quello che lo sapeva prima, non ne avevo alcuna certezza ma quando sono andato a dormire il 5 verso le 23 avevo l’idea che sarebbe finita così, non così in fretta e così nettamente, ma che la vittoria sarebbe stata sua, quello mi era - a pelle - chiaro da qualche giorno. Cosa cambia? Cambiano un sacco di cose credo, alcune le scopriremo nei prossimi mesi. Il primo biennio di un Presidente è quello in cui ha più forza propulsiva, inoltre fino alle elezioni di mid-term potrà contare su solide maggioranze, dopo se qualcosa non dovesse funzionare potrebbe perdere una o entrambe le camere e restare azzoppato. Non sono un esperto ma credo che un Presidente con tutto il Congresso a favore e in più una Corte Suprema tutt’altro che ostile non si vedesse da tempo. Giornalisticamente sarà molto interessante…

Fine del prologo, cominciamo!


Non si poteva che restare in America dopo le elezioni del 5 novembre e la vittoria di Donald Trump. Per fare una prima analisi, a caldo, di questo evento ho chiesto a

Ilaria W. Biano - The God Gap
che cura una bella newsletter dal nome The God Gap che ha avuto come focus proprio il peso e l’influenza delle comunità religiose all’interno del discorso politico e culturale delle elezioni americane. The God Gap è una newsletter informatissima che mi è capitato di citare più volte nei mesi scorsi. Le ho chiesto di rispondere a qualche domanda, occasione peraltro per irrobustire la rete di collaborazione con specialisti che si occupano di religione, dopo
Simone Baldetti
do quindi il benvenuto anche a Ilaria le cui credenziali sono ottime: lavora da oltre dieci anni nella ricerca, nell'editoria e nella divulgazione. Laurea specialistica in Scienze delle Religioni e un Dottorato in Studi Politici entrambi all' Università di Torino, ha svolto incarichi di ricerca e ricevuto borse di studio presso istituti come la Fondazione Einaudi di Torino e l'Istituto Italiano per gli Studi Storici Benedetto Croce di Napoli. Collabora con il Museo delle Religioni Raffaele Pettazzoni di Velletri e si occupa anche di editing e revisione di testi.

Ilaria quindi alla fine ha vinto Trump. In maniera sorprendente per la nettezza del risultato direi, tu che hai osservato così approfonditamente la campagna elettorale te lo aspettavi?

Credo che la vittoria così netta e rapida di Trump abbia sorpreso molti se non tutti. Ci siamo detti per settimane che la situazione era in bilico, che era un 50-50, che probabilmente la mattina non avremmo avuto un risultato. Anche io ne ero convinta, e invece non è stato così: il modo in cui Trump ha vinto e in parte anche l’esito stesso sono stati inattesi. La campagna elettorale è stata segnata da fasi molto diverse. Negli ultimi tempi si avvertiva un vento favorevole a Trump, anche se incerto, mentre negli ultimissimi giorni Harris sembrava risalire. Tuttavia, il margine di vittoria di Trump è stato ampio e inequivocabile: circa tre punti percentuali nel voto popolare, ovvero circa cinque milioni di voti.

Rimane un’America spaccata a metà, ma c’è stata una scelta chiara per Trump da parte dell’elettorato tutto. Quando dico tutto intendo trasversale. Mercoledì mattina, la CNN analizzava i segmenti demografici in cui Harris ha prevalso (donne, latini, asiatici), notando che, pur avendo ottenuto un margine di 5-7 punti in questi gruppi, si è trattato comunque del distacco più basso di sempre per un candidato democratico. Questo significa che molti statunitensi di qualsiasi appartenenza demografica hanno scelto deliberatamente Trump, hanno voluto Trump, ancora più dato che già lo conoscevano. Non si tratta di una scelta di rottura o di novità, ma di consapevole scelta e di continuità con quella che è stata la prima Presidenza Trump e tutto il Trump-pensiero nei quattro anni passati.

Poteva andare diversamente?

Non abbiamo la sfera di cristallo, ma è per questo che a mio avviso, per come sono andate le cose, l’esito ultimo sarebbe stato questo in qualunque altro scenario—Biden bis, una candidatura anticipata di Harris, primarie e un candidato completamente diverso. Si può poi ragionare sul perché di questo esito, e quello sarà materia per riflessioni e dibattiti che richiederanno più tempo e analisi dei dati più approfondite. A caldo ci sono giusto un paio di elementi su cui orienterei una riflessione e analisi.

Uno di questi è il gender gap, il divario di genere, che si pensava sarebbe stato determinante in queste elezioni. I dati chiariranno meglio, ma sembra che se c’è un elemento di genere che ha pesato è quello della candidata: credo vi sia ancora una resistenza a votare una donna in quanto tale come Presidente—per di più una donna black e appartenente a minoranze. È incredibile ma è così. D'altra parte, se è vero che Trump ha vinto nettamente, è altrettanto vero che in termini assoluti ha preso sostanzialmente gli stessi voti del 2020 (in realtà ne ha persi quasi 1 milione). Ma Harris ha preso 12 milioni di voti in meno rispetto a Biden. Il 2020 aveva visto un'esplosione dell'affluenza e non si possono fare calcoli matematici diretti nell’analisi dei flussi elettorali, ma come notava anche Clara di Mi sveglio in America, l’elemento decisivo di queste elezioni sono stati quegli oltre dieci milioni di elettori che non hanno votato, che magari nel 2020 per sconfiggere Trump avevano votato Biden, ma che non sono usciti di casa per votare Kamala Harris.

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The Madison Square Garden Church of All Saints and Moguls
Mentre ascoltavo il “discorso” (in realtà, al netto di faccette ed ovazioni, 2 minuti di quasi nulla) di Elon Musk durante l’ultimo evento elettorale di Donald Trump, tenutosi la settimana passata al Madison Square Garden di New York, mi è venuto in mente che circa due anni fa avevo cominciato a lavorare a un articolo sul magnate di…
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Il tema del genere è poi legato a un problema culturale più ampio di avversione nei confronti del progressismo e i valori che rappresenta, come i diritti delle minoranze e la tolleranza—tutti valori fondanti dell’ideale americano, ma che oggi trovano una crescente resistenza non solo nella società bianca.

Un’altra riflessione riguarda l’evoluzione dell’elettorato di Trump e il cambiamento nei gruppi di interesse che lo sostengono rispetto al 2016. Si è sempre detto che Trump fosse sostenuto principalmente dalle aree rurali, dagli evangelici e dai settori conservatori e popolari, e in larga parte ciò sembra restare vero. Tuttavia, figure come Musk e Bezos hanno avuto questa volta ruoli più o meno espliciti in suo favore. Ormai è difficile pensare a Trump come al “difensore del popolo contro le élite,” come pure ancora si legge. I mercati hanno festeggiato all’indomani dell’elezione di Trump. Se la rapidità del risultato e il senso di stabilità sono stati sicuramente un fattore, vale anche la pena considerare che aziende come quelle di Musk hanno registrato significativi rialzi e i Bitcoin si sono rafforzati. Tutti questi elementi richiederanno attenzione nell’analisi del nuovo scenario politico e degli anni che verranno.

L'America profonda e le coste non si parlano, non si capiscono e hanno valori diversi è così?

Sicuramente è così, ce lo diciamo da anni, anche le mappe elettorali ce lo rendono palese. Vale anche e soprattutto per la percezione dall’esterno, l’immagine è spesso filtrata dalla cultura e dall’intrattenimento, legati in gran parte alle coste. È anche vero che abbiamo imparato a conoscere queste differenze che sono esplose proprio in epoca Trump. C’è un tema, come dicevo, legato a un crescente risentimento verso il progressismo inteso come inclusione e riconoscimento dei diritti, percepito da molte comunità come un’imposizione che mina i valori tradizionali. I diritti e le minoranze vengono spesso visti come temi di interesse esclusivo delle élite o dei campus universitari, suscitando una reazione di rigetto tra coloro che se ne sentono minacciati—o sono indotti a crederlo.

In questi giorni, alcuni attribuiscono la sconfitta elettorale di Harris alla cosiddetta cultura “woke”. Ora, da una parte Harris ha spesso riposizionato la propria immagine politica, e definirla woke appare eccessivo, soprattutto considerato che molti la giudicano fin troppo centrista. Dall’altra può anche essere vero che il wokism abbia avuto derive più radicali. Ma dobbiamo ricordare di cosa parliamo: diritti, libertà, riconoscimento. Qualcuno ha commentato: “I democratici si sono occupati troppo dei diritti; alla gente comune non interessano diritti e minoranze”. E allora c’è una riflessione sostanziale ed esistenziale da fare sulle nostre società, perché una società a cui non interessano i diritti può votare e esprimersi liberamente, ma dovrà anche affrontarne le conseguenze, soprattutto quando mette in discussione quelli che, sulla carta e con tutti i loro limiti, sono stati i valori fondativi di quella società.

I dati andranno analizzati, ma credo, come molti osservatori sostengono, che questa elezione rappresenti un cambio di paradigma. Un cambiamento non improvviso, ma in gestazione da tempo e forse sottovalutato, che ora ci impone di rivedere il nostro modo di osservare gli Stati Uniti, superando le categorie abituali e finanche le autocritiche del passato. Uno dei primi editoriali post-elezione del The Atlantic si faceva la domanda che ci siamo fatti in molto credo “Now What?”. Il sottotitolo affermava “L’America sta per diventare un paese molto diverso”. Un cambiamento dunque strutturale ed epocale, ma non dobbiamo fare l’errore di pensare che sia necessariamente il segno di una involuzione democratica e irreversibile. Gli Stati Uniti hanno una tradizione bipartitica con elettorati relativamente stabili. Ma quando una società cambia tanto radicalmente e velocemente sul piano demografico, culturale ed economico, è naturale che anche le basi elettorali cambino.

Sono flussi che magari sono difficili da intercettare. Se consideriamo che Trump ha ottenuto risultati significativi tra gruppi demograficamente vicini ai democratici, come Black e latini, non dobbiamo necessariamente interpretarlo come frutto logico e razionale di una campagna elettorale meglio o peggio condotta o di programmi particolarmente più convincenti. Si tratta, invece, di spostamenti sociali e culturali più ampi e complessi, che stanno trasformando la società americana e, con essa, i partiti e le loro basi elettorali.

Latinx e Arabi non hanno sostenuto Harris, immigrazione e Gaza hanno pesato? 

Il tema dell’immigrazione e, soprattutto, quello economico sono stati centrali per l’elettorato, motivando in particolare la base repubblicana e i sostenitori di Trump. Tuttavia, ritengo che i fattori decisivi, tanto per i repubblicani quanto per i democratici, siano stati più identitari ed emotivi che razionali, riflettendo sempre più logiche legate alle narrazioni sostenute dai candidati piuttosto che a questioni di merito.

La questione di Gaza è stata molto importante per una parte però piuttosto contenuta dell’elettorato. Gli arabo-americani costituiscono l’1% della popolazione, sebbene siano ben rappresentati in uno stato chiave come il Michigan. È altrettanto vero che il tema di Gaza è importante e ha mobilitato settori trasversali della società, ma non credo sia stato determinante alle urne.  D’altra parte, si è trattato di una debolezza nella campagna democratica, che potrebbe aver influito anche su elettori non particolarmente interessati al tema specifico, sollevando dubbi su altre questioni di politica estera e di leadership.

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Minnesota Halal
L'estate volge al termine, a Chicago si è conclusa la Convention Democratica che ha ufficialmente designato Kamala Harris e Tim Walz come candidati alle presidenziali di novembre e per tanti versi la campagna elettorale comincia—o ricomincia—ora. Le carte sono sul tavolo, il 10 settembre si terrà il…
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10 months ago · 4 likes · Ilaria W. Biano - The God Gap

Nazionalismo bianco e nazionalismo cristiano, hanno un peso nella base trumpiana ma quanto è larga questa come ideologia?

Questo è un tema ampio, delicato e complesso. È anche un tema che sembrava destinato a diventare centrale nella campagna elettorale, per vari fattori. E invece, forse complice i tanti eventi inattesi come gli attentati a Trump, il ritiro di Biden e l’impatto iniziale della candidatura di Harris, la questione è passata in secondo piano. Tuttavia, sarebbe un errore pensare che queste tematiche siano ormai irrilevanti.

Se è vero, come abbiamo detto, che Trump dispone oggi di reti di relazioni e gruppi di sostegno più ampi e diversificati rispetto al 2016 — e qui ci riferiamo non solo all’elettorato, ma anche a gruppi di pressione, associazioni e think tank — è altrettanto vero che alcune componenti del cosiddetto Christian Nationalism continuano a persistere. Questo movimento, che ha acquisito visibilità e legittimità all'interno del Partito Repubblicano durante l’era Trump e, in misura ancora maggiore, dopo gli eventi del 6 gennaio, è tutt’altro che scomparso.

Il nazionalismo cristiano e il nazionalismo bianco rappresentano oggi una componente rilevante della base trumpiana, pur essendo circoscritti a gruppi ideologicamente radicali all’interno di un elettorato più eterogeneo. Secondo un’indagine del 2023 del PRRI (Public Religion Research Institute), oltre la metà degli elettori repubblicani si identifica con il nazionalismo cristiano o simpatizza. A livello nazionale, queste posizioni rimangono minoritarie, ma il Pew Research Center ha rilevato che il 45% degli Americani ritiene che gli Stati Uniti dovrebbero essere una "nazione cristiana," anche se con differenti interpretazioni del termine. Queste ideologie fanno leva su una narrazione di un’America in declino culturale e morale, motivo per cui riescono a mobilitare, in particolare, chi vede nell’affermazione identitaria e nella protezione di certi valori tradizionali un argine contro i cambiamenti demografici e sociali in atto.

Il legame tra cristianesimo evangelico e politica negli Stati Uniti è sempre stato significativo, ma negli ultimi anni ha subito trasformazioni profonde, specialmente all'interno del movimento MAGA. Durante la prima presidenza di Trump, una larga parte dell’elettorato evangelico e della destra religiosa lo ha sostenuto, ma eventi come la pandemia, le elezioni contestate e l'attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021 hanno portato a una radicalizzazione. Oggi, questa frangia mescola politica e simbolismo religioso in toni estremisti, vedendo la politica come una “guerra spirituale” contro i liberali e i non credenti, attribuendo una dimensione quasi apocalittica alla lotta politica. Figure all’interno del Partito Repubblicano come Marjorie Taylor Greene, Lauren Boebert o lo speaker della Camera Mike Johnson incarnano questa nuova spinta radicale, promuovendo apertamente il Nazionalismo Cristiano. Nonostante Trump non sia percepito come particolarmente religioso, il movimento gli attribuisce un ruolo quasi “messianico”, fungendo da simbolo che permette alle frange estremiste di attrarre consensi. Il discorso del Christian Nationalism si fonda su convinzioni come quella, storicamente inesatta, che gli Stati Uniti siano stati fondati come "nazione cristiana."

Benché le manifestazioni esplicite di queste ideologie siano limitate a gruppi circoscritti, esse rappresentano comunque una corrente sotterranea che permea, seppur implicitamente, parte della cultura statunitense. Questo substrato ideologico affonda le proprie radici in una storia complessa e controversa, nella storia del razzismo e delle relazioni razziali. Non a caso, le origini della destra religiosa, di cui il Christian Nationalism rappresenta l’ultima rinascita, risalgono al periodo post-segregazione e all'opposizione alla desegregazione scolastica.

Negli ultimi anni, e soprattutto negli ultimi mesi, sono stati pubblicati molti libri che analizzano questa tematica in modo approfondito e interessante. È uscito anche un documentario, God & Country, che esplora il tema dando voce anche a intellettuali, comunicatori e predicatori evangelici che prendono le distanze da queste ideologie e movimenti, offrendo una prospettiva critica e alternativa dall’interno del mondo evangelico.

L'America è ancora il paese più pluralista dal punto di vista religioso: secondo te è un aspetto che viene capito dai media italiani?

Gli Stati Uniti sono un paese estremamente plurale e diverso al suo interno sotto ogni punto di vista, in primis quello religioso e culturale. E la prospettiva sul futuro prossimo è di ulteriore crescita in questo senso. Si stima che, nel giro di meno di dieci anni, gli Stati Uniti diventeranno una nazione di minoranze, in cui nessun gruppo — in primis i bianchi — rappresenterà la maggioranza della popolazione. Questo cambiamento riguarda anche la sfera religiosa, dove al declino progressivo di molte appartenenze tradizionali si affianca un aumento di confessioni religiose più o meno nuove nel panorama americano, insieme a una varietà sempre più ampia di approcci alla spiritualità e alla ricerca di senso.

È vero che gli Stati Uniti vengono spesso rappresentati come un paese monoliticamente cristiano, protestante, evangelico—peraltro anche sovrapponendo a volte categorie e gruppi che hanno ben poco in comune. In realtà c’è una straordinaria vivacità, anche uscendo dal frame elettorale e politico, legata alle tante identità e comunità che compongono oggi il popolo americano. Si tratta di una situazione molto interessante, stimolante, di cui ormai emergono e arrivano anche noi in Italia e in Europa esempi in modo crescente, nella letteratura, nella cultura pop, dal cinema alle serie tv, nella musica e nella cultura in generale.

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The Breath of the City, the Cry of the People
Mentre preparavo il numero sulle comunità asiatico americane, mi sono imbattuta in una vicenda che mi ha molto affascinato e ho pensato che sarebbe stato un bello spunto per una newsletter di quelle focalizzate su storie piuttosto che su approfondimenti di angoli specifici del panorama religioso statunitense…
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a year ago · 2 likes · Ilaria W. Biano - The God Gap

Questo elemento avrà certamente un ruolo nel cambio di paradigma di cui dicevamo prima. Se gli Stati Uniti sono un paese che, per una ragione o per un’altra, sta ripensando la propria identità e la sua stessa ragion d’essere e dovrà trovare una nuova direzione per il futuro, non c’è motivo per non immaginare che queste voci avranno un ruolo da giocare e una voce da far sentire in questi processi e nella costruzione di un nuovo senso collettivo.

Come continuerà il tuo progetto "The God Gap" ora che le elezioni sono finite? 

The God Gap è nata per accompagnare l’anno elettorale, offrendo un punto di vista e un focus tematico spesso lontani dai riflettori, proponendo una cornice interpretativa per certe dinamiche e avvenimenti. Non sono una giornalista; la mia formazione è accademica e il mio intento è divulgativo. Nella progettazione di The God Gap, ho pensato che le mie conoscenze e competenze potessero essere utili e interessanti per coloro che già hanno un’attenzione nei confronti della politica e della cultura statunitense, ma non solo. Da un lato, la newsletter voleva quindi analizzare la diversità religiosa e culturale del paese nella sua complessità e specificità e dall’altro offrire chiavi di lettura per interpretare notizie e eventi legati alla campagna elettorale.

Chiaramente io non cerco storie inedite né lavoro sul campo; il mio è un lavoro di approfondimento e contestualizzazione. In questo senso credo che questo approccio sia stato apprezzato da chi mi segue. Io mi sono molto divertita, diciamo, in senso lato. The God Gap, quindi, proseguirà, mantenendo questo equilibrio. Ci sono ancora molte storie, comunità e temi che ancora non abbiamo affrontato, da esplorare per comporre il complesso mosaico americano di cui abbiamo detto. E sicuramente ci saranno ancora tante notizie da scomporre e analizzare.

La stessa vittoria di Trump pone tanti interrogativi e apre a possibili sviluppi da tenere d’occhio. Quale ruolo avrà il nazionalismo cristiano, sia dal punto di vista culturale che per quanto riguarda i gruppi di interesse che hanno avuto un ruolo in queste elezioni, come il famigerato Project 2025? Quale sarà la posizione delle diverse comunità religiose nei confronti della nuova amministrazione, e come questa si porrà nei loro confronti? Come abbiamo detto, la comunità arabo-americana, e più in generale una parte della comunità musulmana, non ha sostenuto Harris a causa delle posizioni su Gaza; molti hanno anche esplicitamente sostenuto Trump. Non c’è solo il tema di come Trump agirà su Israele: non possiamo dimenticare che uno dei suoi primi atti durante la presidenza precedente fu il Muslim Ban. Sarà quindi interessante osservare come si evolverà questo rapporto.

Ed è molto interessante anche osservare la comunità indo-americana e induista che sta assumendo un ruolo sempre più rilevante, sia socialmente che politicamente, in particolare all'interno del Partito Repubblicano. Se il fatto che la moglie del vicepresidente di Trump, Vance, Usha, appartenga a questa comunità può essere più o meno una nota di colore, vale la pena ricordare che due altri candidati alle primarie repubblicane, Nikki Haley e Vivek Ramaswamy, sono anch’essi di origini indo-americane.

Saranno anni forse complessi e difficili, ma anche interessanti—quanto meno.

Grazie!


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📖 Consigli di lettura

📧 In primis non posso non suggerirti il lavoro di Simone Baldetti:

dove si parla di “una "Stanza del silenzio e dell'ascolto", una stanza dedicata alla la preghiera od altre necessità di tipo di spirituale per gli studenti e studentesse del Collegio Universitario Mazza, a Padova. Questo fatto mi ha fatto pensare che anche nei videogiochi si trovano esempi di luoghi sacri, ma soprattutto come questi possono rivelarsi utili quando i luoghi per la preghiera sono pochi, un po' come per questa Stanza del Silenzio”

Giochi Sacri
Le Stanze del Silenzio
Bentornati su Giochi Sacri, la newsletter che racconta il mondo del Gaming and Religion. La scorsa settimana sono stato all’inaugurazione di una "Stanza del silenzio e dell'ascolto", una stanza dedicata alla la preghiera od altre necessità di tipo di spirituale per gli studenti e studentesse del Collegio Universitario Mazza, a Padova. Questo fatto mi ha…
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8 months ago · 3 likes · Simone Baldetti

Rispetto alle scorse elezioni ha migliorato i consensi tra afroamericani e latinos: c'entrano l'inflazione e la religione, tra le altre cose. Un articolo breve sul Post utile per mettere un po’ di carne al fuoco.

📧 Sempre sulle elezioni, l’analisi del voto e il tema delle “Identity politics”

Noahpinion
Identity politics isn't working
Well, that obviously didn’t go the way I would prefer…
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8 months ago · 526 likes · 342 comments · Noah Smith

🫶 Siamo arrivati alla fine di questa newsletter, spero ti sia piaciuta. Dammi un feedback se puoi ma soprattutto - se questo mio lavoro ti piace - fai conoscere ai tuoi amici questo progetto, vuoi? Intanto alla prossima settimana!

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