Il Sud alle crociate—immobiliari
Bible Belt, Big Sort e la costruzione di un’America parallela
Whitleyville, cuore rurale del Tennessee. È qui che Josh Abbotoy — ex avvocato aziendale, cresciuto in una fattoria a Hartsville e con una formazione alla Catholic University e alla Harvard Law School — ha acquistato lo scorso anno un'ex tenuta agricola di 448 acri. Il suo progetto è trasformarla in un’agrihood: un quartiere agricolo autosufficiente, con circa trenta case in stile tenuta immerse in un contesto rurale attivo. Non si tratta solo di offrire un’alternativa alla città, ma di costruire una comunità fondata su una visione condivisa della vita: campi coltivati, bestiame, paesaggi preservati e relazioni ispirate a valori cristiani.
Per Abbotoy — amministratore delegato del fondo New Founding e direttore della società immobiliare RidgeRunner, nonché figura sempre più centrale nel mondo conservatore cristiano — il progetto, non l'unico che sta portando avanti, rappresenta una risposta alla crescente polarizzazione politica americana e al desiderio, sempre più diffuso, di vivere circondati da persone che condividono gli stessi valori. Un fenomeno accentuato dalla pandemia e dall’ascesa del lavoro da remoto.
In Kentucky e Tennessee, gruppi conservatori stanno dando vita a una serie di nuovi progetti di questo genere: quartieri residenziali e sviluppi immobiliari pensati specificamente per famiglie cristiane. Lontani dalle città ritenute “corrotte”, questi insediamenti promuovono uno stile di vita fondato su valori tradizionali, ma ancor più su principi religiosi e ideologici: nessuna ideologia gender, educazione classica, e una comunità spirituale attiva.
Non si tratta solo di famiglie in cerca di tranquillità rurale. Negli Stati Uniti è in atto una mobilitazione silenziosa e strategica che unisce imprenditori, intellettuali e famiglie conservatrici in una rete crescente di comunità ispirate a valori cristiani tradizionali, a una specifica identità culturale americana, e a una critica alle istituzioni liberal. Il progetto? Dare forma a una nuova geografia culturale e politica, capace di influenzare il futuro degli Stati Uniti dal basso: un’America parallela, pensata come baluardo della “civiltà occidentale”.
Ma questo fenomeno affonda le radici in un terreno profondo e non del tutto nuovo. Si sviluppa all’interno di un contesto culturale consolidato: la Bible Belt, che da decenni rappresenta il cuore identitario del cristianesimo americano. E si inserisce in una trasformazione più ampia — il Big Sort, la “grande selezione” geografica e ideologica, in cui un numero crescente di persone sceglie di vivere tra simili, condividendo valori, credenze politiche e stili di vita.
Comprendere queste nuove comunità significa leggere il terreno da cui emergono. Non sono un’anomalia, ma l’espressione coerente di una tradizione profonda, che intreccia fede evangelica, identità locale e una visione politica di lungo periodo. La Bible Belt non è solo un’area sulla mappa: è una cultura viva, che continua a modellare l’immaginario e le scelte di milioni di americani.
Bible Belt: radici profonde di un’America religiosa
La chiamano Bible Belt, la “cintura della Bibbia”. Ma non è solo una porzione di territorio: è un modo di vivere. Un’America profondamente cristiana, conservatrice, legata a una lunga tradizione di risvegli religiosi, predicatori itineranti e militanza spirituale.
Il termine, però, non nasce per esaltare questa identità. Fu coniato negli anni ’20 dal giornalista H.L. Mencken, in tono sarcastico, per descrivere le aree del Sud e del Midwest dominate dalla religione evangelica, spesso percepite come ostili alla scienza, al pluralismo e alla modernità.
Col tempo, però, la definizione è stata assorbita e rivendicata. Oggi Bible Beltdesigna un’area ampia che include Texas, Oklahoma, Arkansas, Tennessee, Mississippi, Alabama, Georgia e le due Carolina. Una cintura culturale prima che geografica, fatta di chiese battiste, megachurches, scuole cristiane, radio evangeliche e leggi locali modellate intorno alla “moralità biblica”.
Ma la Bible Belt non è solo religione: è anche politica. Negli anni ’70, con la nascita della Moral Majority, diventa il motore dell’elettorato conservatore. Aborto, diritti LGBTQ, istruzione, libertà religiosa: la battaglia ideologica si combatte qui. E quello che era un fenomeno regionale si trasforma in una forza nazionale. Da Reagan in poi, la Bible Belt diventa il cuore pulsante del Partito Repubblicano. Sposta l’asse politico a destra. Condiziona primarie, dibattiti, candidature.
Ancora oggi, guida le politiche più restrittive sull’aborto dopo la sentenza che ha ribaltato Roe v. Wade, e si pone in prima linea nelle campagne contro l’insegnamento di razza, genere e sessualità nelle scuole pubbliche.
Eppure, qualcosa si muove anche qui. L’appartenenza religiosa cala: è il fenomeno noto come Great Dechurching. Le grandi denominazioni, come la Southern Baptist Convention, perdono terreno. Ma questo vuoto non resta tale: si riempie di nuove forme di militanza, meno legate alla congregazione e più orientate a costruire un ecosistema parallelo fatto di media, scuole, politica locale e progetti immobiliari.
Se la cultura resta in gran parte conservatrice, la demografia della Bible Belt sta cambiando. Alcune aree — soprattutto quelle nei pressi di città in rapida espansione come Nashville, Charlotte e Dallas — registrano una crescita significativa. A trainarla sono professionisti in fuga dalle metropoli liberal, famiglie attirate dal costo della vita più basso, e comunità ispaniche sempre più presenti e radicate nel territorio.
Questa trasformazione segna un passaggio cruciale: da una religione centrata sulla chiesa locale a una infrastruttura ideologica diffusa, capace di incidere su media, educazione, politiche locali e sviluppo urbano. La Bible Belt si presenta oggi come un laboratorio attivo, in cui si sperimentano nuove forme di potere religioso e sociale, con l’obiettivo dichiarato di tornare a incidere su scala nazionale.
Ma dietro questa spinta riorganizzativa si nascondono tensioni strutturali profonde. Molti stati della regione registrano tassi elevati di povertà, bassi livelli di alfabetizzazione e salute pubblica, disoccupazione giovanile, crisi dell’agricoltura e una fuga costante di laureati. Alcuni — come il Mississippi — sono tra i maggiori beneficiari di fondi federali pro-capite, pur promuovendo una retorica fortemente anti-stato e anti-Washington.
Nel frattempo, la geografia della fede americana si sta spostando — letteralmente. Negli ultimi decenni, famiglie, chiese, scuole e intere comunità religiose hanno scelto di trasferirsi in territori percepiti come più compatibili con i propri valori. È qui che entra in gioco un concetto chiave per comprendere il presente: il Big Sort.
The Big Sort: scegliere dove vivere, scegliere con chi vivere
Nel 2008, il giornalista e analista politico Bill Bishop pubblicò The Big Sort, un libro destinato a diventare una chiave di lettura fondamentale per comprendere la nuova geografia politica e culturale degli Stati Uniti. La tesi, all’apparenza semplice, era in realtà dirompente: gli americani non si stanno solo dividendo su questioni ideologiche — stanno anche scegliendo di vivere fisicamente accanto a chi la pensa come loro.
Secondo Bishop, a partire dagli anni ’80 — e con un’accelerazione marcata nel nuovo millennio — milioni di persone hanno cominciato a migrare internamente non soltanto per motivi economici, ma per cercare contesti sociali e culturali più affini alle proprie convinzioni. Il risultato è una mappa sempre più omogenea al suo interno e polarizzata nel suo insieme: contee blu sempre più progressiste, contee rosse sempre più conservatrici, e sempre meno spazi condivisi.
Questa tendenza non si è fermata. Anzi, si è intensificata dopo il 2020, sospinta dalla pandemia, dal lavoro da remoto, dall’aumento dei costi abitativi nelle grandi città, e da un clima sempre più acceso di “guerra culturale”. Il Sud — in particolare stati come Texas, Tennessee e Florida — è diventato una delle mete privilegiate per queste migrazioni, spesso ispirate da un mix di motivi fiscali, politiche anti-woke, e un forte ethos religioso.
Come hanno raccontato in molti — a partire, ad esempio, da Francesco Costa nel suo California — ideologia e fede non sono le uniche lenti con cui leggere queste migrazioni. Ma per molti, sono componenti essenziali. Il desiderio di vivere in un luogo “più compatibile” non riguarda solo scuole migliori o un mercato del lavoro più favorevole, ma una visione del mondo da condividere con i vicini, i pastori, gli insegnanti, gli amministratori locali.
Le implicazioni sono profonde. Sul piano politico, queste migrazioni contribuiscono alla radicalizzazione di interi distretti elettorali, rendendo sempre più difficile la ricerca di compromessi legislativi. Sul piano sociale, portano alla scomparsa di spazi intermedi, dove visioni diverse possano incontrarsi, confrontarsi, convivere. E questo vale tanto per le aree a maggioranza repubblicana quanto per quelle democratiche.
Non si tratta solo di dove si sceglie di vivere, ma di quale mondo si desidera abitare. In questo senso, il Big Sort non è un fenomeno meramente demografico, ma teologico e culturale: una sorta di riorganizzazione spirituale del territorio, in cui lo spazio abitato diventa estensione delle proprie convinzioni morali. Un modo per isolare, ma anche per proteggere. Per costruire argini simbolici contro una società percepita come sempre più frammentata e polarizzata.
Così, il Big Sort si trasforma nel fondamento di una nuova costruzione culturale, dove la geografia diventa un atto di difesa ideologica.
E oggi, stiamo assistendo a un salto ulteriore: dalla dispersione spontanea alla pianificazione intenzionale. Non si tratta più solo di scegliere dove vivere, ma di costruire da zero luoghi modellati su ideali religiosi e politici ben precisi. In Kentucky e Tennessee, questo progetto sta prendendo forma in modo sempre più concreto.
Le nuove crociate immobiliari
Negli ultimi anni, il cuore del Bible Belt è tornato al centro di un’inedita attenzione politica e imprenditoriale. Non si tratta più solo di capitalizzare su valori tradizionali, ma di progettare consapevolmente nuovi spazi di vita fondati su una visione cristiana del mondo. Tra i protagonisti di questa strategia c’è Abbotoy: avvocato, attivista conservatore e promotore di un’idea tanto ambiziosa quanto controversa — creare comunità residenziali intenzionalmente cristiane nei territori del Sud.
Dopo aver lasciato la consulenza legale, Abbotoy si è trasferito con la famiglia fuori Nashville. Oggi è direttore della rivista American Reformer e guida il progetto immobiliare RidgeRunner in Tennessee. Il suo obiettivo? Costruire una rete di “rifugi conservatori” tra il Tennessee e il Kentucky occidentale. Ha già acquistato centinaia di acri e prevede che entro l’anno almeno 50 famiglie si uniranno a lui.
Insieme ad altri esponenti della nuova destra religiosa, Abbotoy vuole trasformare la migrazione conservatrice in un progetto strutturato, che non si limita a “fuggire” dalle città progressiste, ma punta a costruire nuove roccaforti culturali, basate su pianificazione urbana, educazione privata e micro-politiche locali. Come ha osservato Forbes, New Founding — il fondo d’investimento di Abbotoy — fa parte di un movimento crescente di capitalisti “anti-woke” che puntano a rimodellare la società secondo una visione cristiana, MAGA e tecnologicamente orientata.
Secondo Katherine Stewart, autrice di The Power Worshippers, il progetto potrebbe non essere solo una nuova utopia cristiana, ma anche un’operazione di speculazione immobiliare con forti connotazioni ideologiche. A spingere queste iniziative, oltre alla visione culturale, c’è anche un contesto favorevole: basso costo della vita, leggi permissive e forte identità religiosa locale, soprattutto in stati come il Kentucky e il Tennessee.
A Whitleyville, Abbotoy ha dichiarato: “Vogliamo che questo sia un luogo dove vivere secondo i principi di una comunità cristiana sana, lavorando la terra, costruendo relazioni solide, e guardando alla chiesa come punto di riferimento”, sottolineando che il progetto si rivolge a persone in cerca di coerenza culturale e valoriale. Heidi Beirich, del Global Project Against Hate and Extremism, solleva però interrogativi cruciali: chi sarà ammesso in queste comunità? Come si imporranno le opinioni politiche agli acquirenti? Ci saranno criteri impliciti di esclusione? Il Federal Civil Rights Act vieta la discriminazione nella vendita di immobili in base a razza, religione e altri fattori.
Sul sito di RidgeRunner, il progetto viene presentato come un’opportunità per chi vuole “scomparire dalla follia culturale del Paese” e vivere secondo valori condivisi. Con l’espansione del lavoro da remoto e della banda larga rurale, si apre — secondo i promotori — una finestra per costruire nuove forme di comunità: più sane, più coese, più intenzionali. New Founding si vanta di "opporsi esplicitamente a DEI" e di puntare su "clienti sfavoriti da ideologie corrosive". Nella sua bio di Twitter si defnisce “A venture firm focused on critical civilizational problems.”
Ufficialmente, il progetto è anche una risposta al declino economico e allo spopolamento delle aree rurali. Ma per alcuni osservatori si tratta piuttosto di colonizzazione culturale: una trasformazione silenziosa del tessuto sociale mascherata da sviluppo. Il timore è che dietro l’idea di comunità cristiana si nascondano dinamiche di esclusione e radicalizzazione. Alcuni residenti si dicono preoccupati per la possibile trasformazione culturale del luogo. Pur non avendo problemi con l’identità cristiana della zona, vedono nel progetto una forma di estremismo religioso e ideologico mascherato da intervento immobiliare.
Ma questi insediamenti non parlano soltanto di religione. Si inseriscono in una strategia più ampia che punta a ricostruire una rete di riferimento culturale e morale nei territori dove la secolarizzazione appare meno radicata. In questo contesto, l’abitare diventa un gesto politico, e la terra un elemento di identità.
Il progetto RidgeRunner non riguarda solo l’edilizia, ma la definizione di un ambiente simbolico. Qui l’appartenenza si misura in termini di valori condivisi, non solo di confini geografici. È una visione di comunità dove la fede orienta non solo la vita privata, ma anche le relazioni sociali e le regole implicite di convivenza.
Il caso Abbotoy segnala così un’evoluzione significativa: la religione politica americana non si limita più alla sfera pubblica istituzionale, ma si radica nei territori, nelle infrastrutture e nella vita quotidiana. Più che un esperimento urbanistico, si tratta di un tentativo di riorganizzare lo spazio sociale attorno a un’idea precisa di ordine morale. Le implicazioni — per chi vi partecipa e per chi ne resta escluso — sono tutt’altro che marginali.
Il caso Madinah Lakes
Ma cosa succede quando iniziative simili coinvolgono comunità religiose diverse? Come abbiamo visto la scorsa estate, un caso analogo — almeno nella forma — è emerso a Lino Lakes, un sobborgo a nord delle Twin Cities, in Minnesota. Anche lì, un costruttore ha proposto di trasformare una vecchia area agricola in un quartiere residenziale ispirato a valori identitari. Anche lì si parlava di sicurezza, comunità, servizi su misura. Solo che il progetto, chiamato Madinah Lakes, era pensato come Muslim friendly, includeva 400 abitazioni, spazi condivisi e la costruzione di una moschea.
Il progetto, promosso da uno dei gruppi musulmani più attivi del Paese, ha però incontrato una reazione feroce: assemblee pubbliche affollate, campagne sui social, proteste e toni sempre più esplicitamente islamofobi. Il risultato è stato una moratoria edilizia di un anno su tutte le nuove costruzioni nell’area. Le motivazioni ufficiali citano vincoli ambientali e problemi infrastrutturali, ma il contesto racconta altro: una crescente visibilità della comunità musulmana e il fastidio — a volte la ostilità — che questa suscita in alcune zone suburbane bianche e cristiane.
Il contrasto è netto. In Tennessee o Kentucky, i progetti per famiglie cristiane conservatrici vengono letti come una legittima risposta alla polarizzazione culturale. Si parla di ritorno alle radici, sicurezza morale, rigenerazione territoriale. Ma quando a promuovere un progetto simile è una comunità musulmana, la stessa struttura narrativa si ribalta: non più rifugio, ma minaccia. Non comunità, ma segregazione. Non radicamento, ma invasione.
Eppure, Madinah Lakes e RidgeRunner raccontano storie simili e potenzialmente dirompenti: la religione non si limita a plasmare le coscienze, ma ridisegna anche le mappe.
Una nuova geografia religiosa in (ri)costruzione
Secondo Abbotoy e altri esponenti del nuovo attivismo cristiano, il tentativo evangelico delle generazioni precedenti di influenzare la società dall’interno — attraverso scuole, università, aziende — non è più praticabile. La nuova strategia è un’altra: costruire comunità parallele, coese, capaci di resistere ai cambiamenti culturali e politici. Per molti, il punto di rottura con la società americana dominante non è recente. Uno spartiacque simbolico è rappresentato dalla sentenza Obergefell v. Hodges del 2015, con cui la Corte Suprema ha legalizzato il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Per Abbotoy, quel momento ha segnato l’inizio del cosiddetto “Negative World”, un concetto teorizzato dallo scrittore Aaron Renn: un’epoca in cui, secondo questa visione, essere cristiani rappresenta uno stigma sociale, soprattutto nei contesti d’élite come università, media e grandi aziende. Non a caso, dopo la vittoria ottenuta nel 2022 con l’abolizione del diritto federale all’aborto, la nuova battaglia della destra religiosa — forte di una Corte Suprema ultra conservatrice con 6 membri su 9 conservatori, di cui 3 nominati da Trump — è proprio quella per smantellare il matrimonio egalitario.
Questa lettura è ormai diffusa nei settori della nuova destra cristiana, che non punta più a riformare le istituzioni esistenti, ma a ricostruire dal basso: famiglie, chiese locali, scuole indipendenti, piccole imprese, comunità auto-sufficienti. L’obiettivo è dar forma a una nuova infrastruttura culturale, scolpita fuori dalle città e dalle logiche liberal.
La creazione di nuovi spazi cristiani, come quelli promossi da Abbotoy, non è solo una scelta di vita comunitaria. È una dichiarazione politica. Come il territorio diventa lo spazio fisico dove coltivare la fede, così la geografia religiosa diventa uno strumento di autodefinizione e lotta culturale. Il futuro dell’America non si gioca solo sulle geografie fisiche, ma anche su geografie ideologiche: mappe invisibili che dividono, ricompongono, definiscono appartenenze.
È una geografia dei valori, delle convinzioni, delle paure e delle speranze. In un tempo di polarizzazione, non è solo la politica a spaccarsi: è lo spazio stesso a farsi ideologico, attraversato da linee invisibili che separano ciò che è ritenuto puro da ciò che è percepito come contaminato.
In questa logica, la fede non è più (solo) una questione privata, ma una forza di pianificazione sociale, capace di influenzare scelte residenziali, assetti urbani, politiche scolastiche, identità locali. La Bible Belt non è più solo un’eredità storica: è un cantiere aperto, dove si sperimentano nuovi modelli di convivenza religiosa e politica. Il Big Sort, da fenomeno demografico, diventa una vera e propria strategia culturale: un ordinamento morale dello spazio, dove ci si sposta per vivere tra simili.
Il futuro dell’America non si gioca solo nelle urne, ma anche nei lotti edificabili, nei distretti scolastici, nei regolamenti edilizi. E in una nazione dove la fede si fa architettura, la domanda diventa sempre più urgente: che forma avrà questa nuova appartenenza?
Vi consiglio come sempre di buttare un occhio alle pubblicazioni dei miei colleghi newsletterati…newsletterologi…loro insomma.
A 1700 anni esatti dal concilio di Nicea, che ne costrui il primo impianto ideologico, il cristianesimo, dopo crociate, roghi, repressione del libero pensiero, sostegno alle peggiori tirannie, continua a rappresentare il riferimento di chi semina odio e intolleranza e vuole proporre una visione oscura e priva delle libertà fondamentali della vita.
Un articolo su un fenomeno interessantissimo, grazie. Risonanze sparse:
-mi sovviene la riflessione di Gael Giraud sul fatto che la borghesia progressista si sia fatta mondo a sé e perciò sia diventata impermeabile ad altre visioni (teologiche, religiose, economiche) proprio perché il mondo é con-vissuto solo con persone omologhe: l’altro lato del fenomeno;
-nel 2017 uscì un testo (USA e Francia) di Rod Dreher che proponeva quella che poi nella vulgata divenne “l’opzione Benedetto” (da Norcia): ovvero costruire isole di fede e cultura mentre, come l’Impero Romano nel V-VI secolo, la cultura occidentale si disfá; é la precisa pianificazione del fenomeno che hai descritto – le “isole” immobiliari;
-come domanda: nel caso degli USA l’istituzione di comunità “mono-ideologiche” non è uno dei fattori inscritti nella colonizzazione USA? Certo il paradiso edenico della Nuova Inghilterra era anche tolleranza tra confessioni, ma spesso ciò non avveniva forse come legame tra comunità omogenee all’interno, almeno in alcune aree?
-la questione del progetto specchio di comunità islamiche tocca ovviamente il problema dei princìpi fondanti di una comunità, in maniera analoga alla questione delle radici cristiane dell’Europa, e comporta la domanda: il complesso di princípi etico-religiosi di tale o tal gruppo sono almeno non-contrari ai princípi fondanti della comunità generale? E, grosso problema: chi lo decide?